L’Ottocento è il secolo dell’orrore: dalla letteratura alle arti performative e fotografiche.
«Il sentimento più antico e più radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell’Ignoto. Questi assunti vengono posti in discussione da ben pochi psicologi, e la loro conclamata verità stabilisce in qualsiasi tempo la genuinità e dignità del racconto Soprannaturale e Orrorifico come forma letteraria.»
-Howard Phillips Lovecraft.
Nel corso dell’ottocento vennero gettate le basi per uno dei generi cinematografici più fertili di sempre: l’Horror.
In questo periodo, infatti, si scatenò un’ossessione collettiva per tutte quelle pratiche connesse allo spiritismo e alla scienza dell’occulto che erano, invece, state precedentemente marchiate come malefiche. Sempre più frequentemente, le persone iniziarono a riunirsi per prendere parte a sedute spiritiche o per raccontarsi terrificanti storie di fantasmi o ancora per partecipare agli spettacoli della lanterna magica e alle fantasmagorie. Parlando proprio di quest’ultimo caso, la fantasmagoria di Etienne-Gaspard Robertson è uno dei più originali esperimenti in ambito teatrale e orrorifico: consisteva in uno spettacolo di immagini in movimento che si ingrandivano e rimpicciolivano, provocando stupore e turbamento nel pubblico. Questi spettacoli ottici conquistarono un nuovo tipo di spettatore, attratto dalla realtà e dai suoi prodigi, ma anche da una dimensione “altra”. Uno spettatore per il quale l’attrazione per i fenomeni irrazionali risultava irresistibile.
Accanto alle arti performative, anche le storie dell’orrore divennero fonte di fascinazione e si radicarono ancor più nella cultura popolare europea nel momento in cui iniziarono a diffondersi i Penny dreadful, una serie di racconti spaventosi pubblicati a puntate sui periodici, e ancor più grazie alle magistrali opere di Mary Shelley, Edgar Allan Poe e Bram Stoker. Questi tre grandi maestri del gotico avrebbero profondamente influenzato la cultura cinematografia e letteraria successiva dando vita a creature iconiche e facendo sperimentare ai propri lettori graduali e differenti tipi di paure, spesso non tangibili e razionali ma implicite, inspiegabili e, piuttosto, legate a quel lato oscuro della personalità che ogni essere umano possiede ma che tende a nascondere e a controllare. A tal proposito, tra i nomi dei grandi scrittori orrorifici del novecento spicca quello di H.P. Lovecraft. Nei suoi romanzi, Lovecraft, si interroga sul ruolo dell’ignoto all’interno della vita degli esseri umani. Secondo lo scrittore, infatti, gli uomini hanno a disposizione una limitata conoscenza della realtà. Questa inespugnabilità del reale li tutela da una degradazione psico-fisica cui si giunge proprio attraverso una ricerca disperata di conoscenza che è, difatti, destinata a trascinare nel baratro della follia. Inoltre, accanto al tema della “conoscenza proibita”, Lovecraft analizza gli istinti primordiali e spaventosi che albergano in noi e che si concretizzano in figure mostruose, mitologiche, la cui immagine è inafferabile e spesso proibita ai nostri occhi.
In generale, una delle strategie impiegate dagli autori per creare un’atmosfera da brivido consiste nell’accostare alcuni elementi sovrannaturali, misteriosi e ingiustificabili accanto ad altri reali, verosimili e familiari così da destabilizzare il lettore e generare in lui ansia e timore nei confronti di qualcosa che è allo stesso tempo irrazionale ma anche non distante dalla sua quotidianità.
«Io ho sentito una volta di un americano che così definiva la fede: “Quello che rende noi capaci di credere in cose che sappiamo non essere vere”.»
– Dracula, Bram Stoker.
In breve tempo il gusto per il macabro andò ad influenzare anche le arti visive e performative dell’epoca. Un altro aspetto di cui vale la pena tenere conto riguarda l’ambito della fotografia che iniziò ad affermarsi proprio nel diciannovesimo secolo. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la fotografia spiritica raggiunse un alto grado di popolarità grazie ai lavori del “fotografo-medium” William H. Mumler. Successivamente si venne a scoprire che le sue fotografie non testimoniavano l’esistenza di entità spirituali giacché erano in realtà ritoccate manualmente dallo stesso Mumler, il quale, dopo aver trattato i negativi, era solito aggiungere le immagini dei defunti all’interno delle foto commissionate dai propri acquirenti.
IL RAPPORTO TRA CINEMA E ORRORE: LE ORIGINI DEL GENERE HORROR
A questo punto si può ben comprendere perché a fine Ottocento il mezzo cinematografico riuscì ad attrarre a sé una quantità spropositata di curiosi, affascinati dalla possibilità di poter osservare delle reali immagini in movimento. In breve tempo il cinematografo divenne lo strumento principale di diffusione della letteratura gotica e popolare: quale miglior espediente, se non il cinema, per narrare storie terrificanti e ancor più per rendere visivamente concreti tali racconti rafforzandone il terrore?
L’orrore divenne, infatti, uno degli argomenti più in voga nel cinema del novecento al punto che nel periodo del muto molti registi si confrontarono con questo tipo di narrazione. In questo contesto si colloca il poco noto Le manoir du diable (Il castello del diavolo) diretto da Georges Méliès nel 1896 e considerato il primo horror (muto) della storia. Si tratta di un breve filmato d’intrattenimento che, discostandosi da un intento prevalentemente narrativo, puntava piuttosto ad un linguaggio di tipo attrazionale, impiegando le specificità stesse del mezzo cinematografico e le sue infinite possibilità mistificatorie e spettacolari per “spaventare” il pubblico attraverso trucchi, effetti speciali e tipi fissi prelevati direttamente dalla letteratura di riferimento. Le manoir du diable fu proiettato alla vigilia di Natale e diede vita ad un filone cinematografico che di lì a pochi anni andrà a configurarsi come genere vero e proprio.
IL RUOLO DELL’ESPRESSIONISMO TEDESCO NELLA DEFINIZIONE DEL GENERE
Nel ventesimo secolo furono sfornati numerosi film a tema horror come il cortometraggio The Hunckback (1909), diretto da Van Dyke Brooke e Il golem (1915) di Paul Wegener ma, soprattutto, capolavori del calibro di Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau, Frankenstein di James Whale e Dracula di Tod Browning (1931). Come ho già accennato in precedenza, la maggioranza dei personaggi presenti in questa serie di pellicole provengono direttamente dal repertorio della letteratura gotica sette-ottocentesca che vedeva come protagonisti ogni genere di creatura della notte come mostri, vampiri, fantasmi, demoni, lupi mannari e così via. Il vampiro Nosferatu, in particolare, è diventato col tempo una pietra miliare del horror nonché uno dei film più citati e presi a modello da registi contemporanei come Tim Burton, Werner Herzog e Francis Ford Coppola, i quali hanno dedicato numerosi omaggi a questo pilastro della storia del cinema. La pellicola, inoltre, si colloca all’interno di una delle sperimentazioni d’avanguardia più interessanti del Secolo breve: l’espressionismo tedesco.
L’espressionismo è una corrente d’avanguardia sviluppatasi in Germania nel 1908 come reazione al realismo e vede tra le sue maggiori influenze proprio la cultura romantica e gotica tedesca. Tra le caratteristiche di questo movimento emergono principalmente il gusto per la deformazione della realtà e per le prospettive alterate che sottolineano la personalità deviata dei personaggi e che sono enfatizzate dalla cura maniacale per le scenografie, ma anche l’inclinazione per una recitazione antinaturalistica ed eccessiva. Tutto ciò si amalgama alla perfezione con gli elementi della messa in scena che sono resi ancor più esasperati da uno stile allucinato, caratterizzato da inquietanti conflitti chiaro-scurali. Le ombre padroneggiano la scena e i protagonisti che l’attraversano non hanno alcuno scampo, sono condannati farsi sopraffare da esse.
Oltre a Nosferatu, è necessario fare riferimento ad un altro caposaldo dell’espressionismo: il Gabinetto del Dottor Caligari (1920) di Robert Wiene, una pellicola innovatrice e sperimentalista al punto da essere considerata un film-manuale per tutti coloro interessati ad indagare la complessità e l’oscurità della mente umana e, di conseguenza, il tema dell’inconscio e della devianza. Ne Il Gabinetto del Dottor Caligari il tenue confine che separa la follia dalla normalità tende spesso a confondersi se non a scomparire totalmente, lasciando dietro di sé una scia di dubbi e interrogativi.
Infine per concludere questa panoramica sul cinema horror delle origini, vale la pena citare il film Vampyr (Il Vampiro) di Carl Theodor Dreyer (1931). La pellicola, come in molti casi, è tratta liberamente da una raccolta di novelle orrifiche presenti nel volume In the Glass Darkly (1872) dello scrittore Joseph Sheridan Le Fanu. La particolarità di Vampyr si riscontra nel ribaltamento dei canoni estetici e dei meccanismi tipici del horror espressionista a cui, peraltro, fa riferimento pur discostandosene: alle scenografie squadrate e teatrali si sostituiscono scene girate in luoghi aperti, spesso luminosi mentre ai contrasti chiaro-scurali del bianco e nero subentrano toni grigi più soffusi che, tuttavia, rendono altrettanto inquietanti sia l’ambientazione sia le figure che vi si muovono all’interno.
«Rilke aveva proclamato che la bellezza era il principio dell’orrore; essi [gli espressionisti] andarono più oltre d’un passo: la vera bellezza era nell’orrore degli individui tormentati, nell’annullamento dell’equilibrio e della simmetria. L’espressionismo, come altri movimenti radicali, voleva scavare alla ricerca delle radici, era spinto dal desiderio di ritornare alle origini.»
-Walter Laqueur.
A questo punto, si può intuire quanto una corrente simile accostata alle storie e leggende popolari abbia contribuito in modo rilevante nella definizione del genere horror. La letteratura gotica, la fotografia le arti figurative e performative sono riuscite negli anni a plasmare l’immagine filmica dell’orrore e il cinema, in questo processo creativo, è il mezzo che più di tutti è riuscito a governare, a rappresentare la paura in tutte le sue forme, un’emozione ambigua che affascina e al tempo stesso respinge l’uomo dagli albori del tempo.
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