In oltre 100 anni di storia, sono molte le evoluzioni e le vicissitudini che il cinema ha dovuto affrontare, non da ultimo questo forzato e prolungato momento di chiusura delle sale che lascia i lavoratori del settore totalmente in balia degli eventi. É in questo clima di immobilità che il tema della censura cinematografica è tornato a far parlare di sé.
L’ultimo sviluppo in materia di censura risale infatti a poche settimane fa, precisamente all’ultimo decreto firmato dal ministro della cultura Dario Franceschini. A voler essere precisi questo non è altro che l’ultimo step dell’attuazione di una legge, la cosiddetta Legge Cinema del 2016, che archivia la possibilità di censurare i film e prevede la creazione di una Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche. É però soltanto dopo cinque anni dall’avvio della riforma che questa Commissione è stata effettivamente costituita, soppiantando definitivamente una legge risalente al 1962.
Non è in questa sede che intendo discutere dei tempi di applicazione della legge in Italia, bensì vorrei ripercorrere le vicende che in oltre un secolo di storia del cinema hanno portato all’attuale stato delle cose.
Il ministro della cultura Dario Franceschini.
Fin dalla sua nascita, furono in molti ad accorgersi dell’enorme influenza che il cinema poteva esercitare sul pubblico. I cineasti avevano notato come violenza, criminalità e tematiche sessuali fossero molto utili per riempire le platee, e non ci volle molto affinché il cinema iniziasse ad essere additato come il responsabile di un declino dei principi morali, sorte che nella storia è toccata più o meno ad ogni novità in fatto di media e comunicazione.
Sorse così in numerosi stati l’esigenza di introdurre una regolamentazione per “tutelare lo spettatore” da contenuti considerati osceni o semplicemente non condivisi dalle autorità. Questa esigenza si è concretizzata diversamente nei diversi paesi.
In Italia in un primo momento il cinema rientrò nella sfera delle attività regolate dal testo unico della legge sulla pubblica sicurezza. Il primo vero intervento che prevedesse espressamente la censura cinematografica risale al 1913, quando fu disposta la revisione obbligatoria di tutte le pellicole per il rilascio di un nulla osta per la loro circolazione. Sempre nello stesso periodo venne approvata una norma che prevedeva la possibilità di revisione a priori anche dei copioni e delle sceneggiature. Tali provvedimenti costituivano di fatto una vera e propria censura preventiva, che venne giustificata adducendo l’interesse degli stessi produttori a non veder ritirare dal mercato dei film le cui spese di produzione fossero già state sostenute.
L’imporsi del fascismo non semplificò la vita degli operatori, anzi. Facilitato dalle disposizioni già esistenti, il regime costruì un sistema in grado non solo di censurare, ma anche di favorire le opere in linea con gli ideali del partito e ritenute utili ai fini propagandistici. Già nel 1923 furono introdotti nuovi casi in cui il nulla osta non poteva essere concesso, e furono previste per la prima volta limitazioni alla possibilità di esportare all’estero le pellicole ritenute dannose per gli interessi del paese. In questo periodo l’attività del censore non si limitò alla lotta verso film giudicati moralmente discutibili, ma si estese anche alla valutazione dell’idoneità di coloro che intendevano esercitare l’attività cinematografica, nonché dei luoghi in cui si svolgevano le rappresentazioni.
L’apparato scenografico, con gigantografia di Mussolini e scritta propagandistica, allestito per la cerimonia di fondazione della nuova sede dell’Istituto Luce, nel 1937 (Istituto Luce). (Fonte: Avvenire.it)
Al termine del secondo conflitto mondiale, l’avvento della democrazia non slegò del tutto l’industria cinematografica dal controllo statale. Nonostante l’esplicita tutela della libertà di espressione contenuta nell’articolo 21 della Costituzione (che prevede il solo limite del buon costume), il cinema continuò ad essere oggetto di censura, sebbene con delle evoluzioni. Nel 1945 un primo intervento provvide ad abrogare gran parte dei controlli preventivi, e nel 1962 una nuova legge sulla “Revisione dei film e dei lavori teatrali” stabilì definitivamente che la censura cinematografica dovesse riguardare unicamente i prodotti finiti e non più intervenire durante la fase della loro realizzazione. Questa legge stabiliva inoltre l’eliminazione di ogni criterio politico nell’attività di revisione, e legava il rilascio del nulla osta per la proiezione unicamente al controllo del rispetto del buon costume.
Tra le tante vicende di film bloccati o tagliati dalla censura, a fare particolare scalpore fu quella di Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci (in copertina quella che è, forse, la più famosa scena del film e anche la più “contestata”). Inizialmente tagliato soltanto di alcuni secondi, pochi giorni dopo la sua uscita nelle sale venne ritirato con l’accusa di “esasperato pansessualismo fine a se stesso”. Dopo il ritiro iniziò, sia per il film che per il suo regista, un lungo iter giudiziario di assoluzioni e condanne, che terminerà soltanto nel 1989, anno in cui il film venne finalmente restituito alle sale. Simili vicissitudini toccarono anche a Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini. Approvato dalla censura con dei tagli nel 1976 (soltanto dopo la tragica morte del regista), una volta uscito venne immediatamente denunciato, sequestrato e condannato dalla magistratura a causa delle “immagini così aberranti e ripugnanti di perversioni sessuali che offendono sicuramente il buon costume”. Il sequestro fu revocato in appello e il film venne, se pur con alcuni tagli, rimesso in circolazione. La pellicola andò incontro poi a ulteriori sequestri e dissequestri, e le venne riconosciuta la piena dignità artistica soltanto nel 1991.
Una scena del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pier Paolo Pasolini.
Con il tempo i casi di film censurati sono sempre più diminuiti, e negli ultimi decenni sono stati molti i progetti per una riforma della legge sulla revisione, ma nessuno dei disegni legislativi proposti è mai stato trasformato in un’effettiva norma. Il contrasto tra la libertà di manifestazione del pensiero e l’attività censoria è stato superato, dopo oltre cinquant’anni, proprio a partire dalla già citata Legge Cinema del 2016. In sostituzione alla censura, è stato introdotto un nuovo sistema di movie rating, ispirato a quello dei paesi anglosassoni. La legge, in parte attuata tramite decreto nel 2017, prevede che siano gli stessi operatori del settore ad attuare una classificazione delle opere in quattro diverse categorie (opere adatte a tutti, opere non adatte ai minori di anni 6, opere vietate ai minori di anni 14, opere vietate ai minori di anni 18), e stabilisce l’istituzione di un organismo di controllo di tale classificazione, ovvero proprio la “nuovissima” Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche di cui di recente si è tanto parlato.
Questo articolo è stato scritto da:
Scrivi un commento