Nelle ultime settimane le nostre bacheche social hanno fatto da cassa di risonanza a due notizie che, forse ancor di più durante il Pride Month, hanno dato vita a parecchie polemiche e vere e proprie proteste. La prima: l’approvazione, in Ungheria, di una legge che vieta la “promozione” dell’omosessualità e che proibisce, tra le altre cose, di proporre a minori contenuti culturali (siano essi libri, film o programmi tv o lezioni scolastiche) che ritraggano l’omosessualità o il cambio di sesso. I film con queste tematiche saranno quindi vietati ai minori di 18 anni e potranno essere trasmetti in televisione soltanto in seconda serata. La seconda, tutta italiana: la pretesa del Vaticano di interferire con l’iter di approvazione del ddl Zan (che mira a tutelare gay, transessuali, donne e disabili dai reati di discriminazione e di odio) in nome di un concordato revisionato quasi 40 anni fa, in tutt’altra epoca.
Entrambi i casi si inseriscono nel discorso sui diritti delle minoranze, in particolare quella LGBT+, e a ben guardare hanno a che fare, in diverso modo, con il tema della rappresentazione delle suddette minoranze. Se nel caso italiano questa tematica si declina in termini di rappresentazione e tutela, il caso ungherese ci racconta invece dell’importanza estrema della rappresentazione delle minoranze nei media.
PERCHÉ IL CASO UNGHERESE NON È UN’ECCEZIONE
Visto che siamo su Framescinema.com e che non mi sembra la sede per discutere del Vaticano, proprio in occasione della conclusione del Pride Month, mi preme parlare dell’importanza della rappresentazione mediatica – in particolare nel cinema – della minoranza LGBT+. Purtroppo, infatti, l’episodio ungherese non è di certo un unicum da questo punto di vista.
Già in molti hanno paragonato la decisione del Parlamento di Budapest a una legge, nota come “legge russa sulla propaganda gay”, approvata in Russia nel 2013 che di fatto stabilisce il divieto di distribuzione a minori di “materiali che mirino a formare predisposizioni sessuali non tradizionali […] o imporre informazioni su relazioni sessuali non tradizionali”. Come accaduto in Ungheria negli scorsi giorni, anche in Russia non erano mancate le proteste, ma ad esse si era accompagnato un aumento della violenza omofoba (ricordate il video di Take Me to Church dell’irlandese Hozier uscito proprio nel 2013? Accennava proprio a questi fatti).
Caso simile, forse non a sorpresa, quello cinese. Nel 2016 il governo di Pechino ha infatti bandito un insieme di tematiche non solo da film e televisione, ma anche dal web e dai servizi streaming. Tra queste tematiche rientravano anche i prodotti (considerati dannosi) che promuovono “relazioni o comportamenti sessuali anormali”. Più di recente alcuni film di esportazione, generalmente quelli con le rappresentazioni più sottili come ad esempio La Bella e la Bestia (2017) e la serie cinese The Untamed (2019), sono riusciti a farsi strada nel mercato cinese, che comunque, oltre a bandire, può stabilire se e dove ci siano necessità di tagli a scene considerate non adatte. È stato il caso nel 2018 di Bohemian Rhapsody, dove i riferimenti più espliciti all’omosessualutà di Freddy Mercury sono stati censurati.
L’IMPORTANZA DELLA RAPPRESENTAZIONE
Ma perché essere e vedersi rappresentati è così importante?
La rappresentazione mediatica non ha solo la funzione “passiva” di registrare e rappresentare l’esistente ma, al pari del linguaggio, è ormai diventata strumento attivo mediante il quale non solo costruiamo la realtà ma, in ultima istanza, la legittimiamo. Tutto quello che viene mostrato su uno schermo esiste e acquista una sua legittimità agli occhi di bambini e ragazzi che spesso faticano ad accettare e a veder accettata la propria identità.
Con la trasposizione su schermo (pagine, palchi, siti …), le tematiche e le identità LGBT+ vengono abilitate, ed entrano a far parte del discorso pubblico. Non a caso uso la parola “discorso”: ogni evento comunicativo, infatti, si inserisce nel più ampio insieme di discorsi che formano e regolano l’attività sociale, intesa sia in senso lato, sia come complesso di relazioni interpersonali.
La rappresentazione, oltre a educare le persone, contribuisce anche all’accettazione personale e alla costruzione dell’identità sociale delle minoranze. In tal senso il contributo del cinema, nel corso dei decenni, è sicuramente stato essenziale, anche se, è bene specificarlo, non sempre la rappresentazione delle persone LGBT+ è stata (e tuttora è) realizzata nel migliore dei modi. Questa tematica viene in parte affrontata nel documentario Lo Schermo Velato (The Celluloid Closet, 1995, Rob Epstein e Jeffrey Friedman) tratto dall’omonimo libro di Vito Russo. Pur non essendo proprio recente, il film è utile per ripercorrere la storia della rappresentazione dei personaggi omosessuali almeno nel cinema statunitense.
La questione della misrepresentation (rappresentazione falsa o inesatta) è da sempre comune a tutte le minoranze, e sembra essere una bestia dura a morire. Che si tratti della comunità LGBT+, di minoranze etniche o di disabilità, il comune denominatore delle diverse apparizioni su schermo è spesso una buona dose di stereotipizzazione, luoghi comuni e personaggi “tipo”. Questo non solo danneggia ed espone a rischi le minoranze, ma spesso ha anche effetti nocivi sulla formazione delle personalità dei singoli individui appartenenti a queste minoranze. E se è vero che ci sono molte eccezioni, è pur sempre vero che, come ha sottolineato l’attore Riz Ahmed la scorsa settimana parlando sui social della rappresentazione delle persone musulmane a Hollywood, le eccezioni non cambiano le regole.
Proprio in apertura si è detto che il caso ungherese non rappresenta un’eccezione, quanto meno non nel panorama mondiale. Se questo è vero, è vero anche che non è però la regola. A prescindere dalla cattiva o falsa rappresentazione, le lotte dei movimenti sociali degli ultimi decenni hanno smosso qualcosa anche nel cinema e nelle produzioni cinematografiche di molti paesi. Proprio per questo motivo, e in nome dei passi e delle piccole conquiste fatte in direzione di una maggiore inclusività e giustizia, è importante opporsi a una presa di posizione così significativa da parte di un paese così coinvolto in Europa (e non culturalmente lontano anni luce), in modo che questo non si ripeta, che la situazione non degeneri, che non si assista a una preoccupante involuzione.
Qualche settimana fa, vi avevamo consigliato 8 film da recuperare per il Pride Month, potete recuperare l’articolo cliccando qui.
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