Diva Futura, di Giulia Louise Steigerwalt (Venezia 81 – Concorso)
Vita del produttore pornografico italiano Riccardo Schicchi, delle sue star (Ilona Staller, Moana Pozzi, Eva Henger) attraverso gli occhi di Debora Attanasio, segretaria di Schicchi e autrice del libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria.
Una boccata d’aria fresca in una Mostra decisamente troppo seriosa e drammatica per chi scrive, in cui troviamo finalmente un po’ di voglia di rottura, colore e dinamismo. Certo, ci troviamo di fronte ad un’agiografia in cui i protagonisti sono dei poveri ingenui in un mondo di squali (soprattutto lo stesso Schicchi) e fatichiamo a credere che fossero così privi di malizia e che ci fosse anche così poco squallore. La commedia funziona, le scelte cromatiche anche, da tempo non si vedeva un trucco credibile in un biopic italiano. Come Enea dello scorso anno (e non solo per la presenza di Pietro Castellitto) finora il miglior film italiano del concorso è quello che più si distanzia da ciò che ci si aspetta da un film italiano ad un festival.
Queer, di Luca Guadagnino (Venezia 81 – Concorso)
Ennesima presenza del regista siciliano a Venezia dopo il Leone d’Argento nel 2022 per il magnifico Bones and All e l’apertura mancata lo scorso anno con Challengers.
Ispirato al romanzo beat di William S. Burroughs, il film vede protagonista un Daniel Craig omosessuale tossicodipendente di mezza età invaghito di un giovane spacciatore in una Città del Messico ricostruita a Cinecittà.
La traduzione in immagini del testo originale sembrava impossibile e la via scelta da Guadagnino sembra per alcuni aspetti fare paio con l’All of Us Strangers di Andrew Heigh per la maggior parte delle sue soluzioni visive.
Il film sceglie però nettamente la via del non descrivere il rapporto tra i due protagonisti come una storia d’amore ben bilanciata ma indaga i sentimenti e la psiche del solo Craig rendendo la sua controparte poco più che un manichino, anche nelle scene di passione o di trip.
Resta probabilmente il film più interessante del Concorso e speriamo possa andare a premio.
Pavements, di Alex Ross Perry (Orizzonti – Concorso)
Il documentario realizzato in occasione della reunion del 2022 dei Pavement, band indie rock simbolo degli anni ‘90, resta finora il migliore della sezione Orizzonti e forse addirittura il film più bello visto in tutta l’edizione.
Cocktail di materiale d’archivio visivo, sonoro e perfino materico, fonde il documentario con altre numerosissime forme d’arte e di sperimentazione: dall’album musicale alla mostra d’arte, dal musical di Broadway al biopic musicale Hollywoodiano bonariamente preso in giro attraverso gli occhi di Joe Keery e Jason Schwartzman.
Il film ci restituisce la figura di una band che non ha mai voluto politicamente scardinare nessuno sistema, non arrogandosi il diritto di lanciare messaggi spesso vuoti, ma che ha desiderato solo esistere. A fasi alterne, e solo quando i componenti ne avevano voglia. Sensazionale

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