Il thriller di Scorsese del 1991 Cape Fear – Il promontorio della paura è sicuramente uno dei più riusciti esempi di creazione di suspense e tensione in un racconto cinematografico, che poco ha da invidiare ai migliori lavori di Hitchcock. Remake del film di J. Lee Thompson del 1962, Cape Fear racconta la storia del criminale Max Cady (Robert de Niro) che durante i suoi 14 anni di condanna trascorsi in prigione prende coscienza del fatto che il suo avvocato, Sam Bowden (Nick Nolte), il protagonista del film, avesse segretamente bruciato un verbale in cui si attestavano eventi che avrebbero ridotto drasticamente il suo tempo in galera. Cady era infatti stato accusato di stupro e violenza su una ragazza, e nella testimonianza distrutta dall’avvocato si attestava la promiscuità della vittima, dettaglio che sarebbe andato a favore dell’imputato.

Fuori dalla galera Cady mette in atto un lento ma inesorabile percorso di avvicinamento alla famiglia di Bowden, con lo scopo di esercitare una forte violenza sia fisica ma soprattutto psicologica, e poter ottenere la sua vendetta per gli anni “in più” a cui era stato condannato.

Il film porta a riflettere su alcune questioni morali complesse e delicate, che non solo si ritrovano spesso nella filmografia di Scorsese ma conducono a ragionare sul lato più intimo e profondo della coscienza umana. Lo spettatore seguendo il racconto si immedesima automaticamente (grazie soprattutto a una magistrale capacità di costruzione narrativa) nel personaggio più debole, in questo caso Sam Bowden. L’avvocato, fisicamente inferiore a Cady e certamente impreparato ad affrontare le torture dell’ex detenuto, ci porta a provare il suo stesso senso di paura e di angoscia, ansia e timore. Ma pur trovandosi, ai tempi della narrazione, dal lato della vittima, non si può ignorare come quattordici anni prima Bowden avesse abusato della sua posizione per attuare una scelta che non sarebbe spettata a lui, bensì a un giudice.

Ma perché l’aveva fatto? E spinto da quali intenti?

Il tema dello stupro nella società americana ricorre spesso nel racconto, e viene discusso dai protagonisti in modo da sottolineare l’inefficienza di un sistema che non garantisce una tutela completa alle ragazze violentate, e Bowden specialmente non esita mai a esprimere il suo scontento. 

Scegliendo quindi di bruciare il verbale, Sam pensava di aver finalmente interrotto la catena di violenze portata avanti da Cady e di tutelare di conseguenza la comunità come invece i codici legislativi non riuscivano a fare. La sua volontà era quella di promulgare il bene e salvare delle vite, ma le sue azioni sono avvenute tramite modalità disoneste e sbagliate. Quattordici anni prima Bowden aveva violato la deontologia professionale e si era erto a giudice celato di un suo cliente, il sentimento di delusione e tradimento del quale può essere considerato legittimo nonostante le sue azioni siano ben lontane da questa definizione.

Tenendo conto della sua professione, da un punto di vista prettamente giuridico ci si sarebbe aspettati che l’avvocato avesse agito nella legalità, rispettando determinati valori, mettendo da parte la sua opinione personale e svolgendo il suo lavoro secondo le leggi a cui la società deve sottostare per vivere nell’armonia. Sicuramente nel film Bowden non rispetta una norma legale, ma obbedisce a una legge morale. Nel far questo sceglie di ignorare la pragmaticità dei codici sociali per agire nell’unico modo che gli sembra possibile per fare del bene alla società, quello appunto morale.

Estrapolando dal contesto questo concetto è possibile trovare un filo conduttore in buona parte della filmografia di Scorsese, in Taxi driver soprattutto, in cui però i ruoli dei personaggi sono opposti. In Taxi driver, infatti, non abbiamo un importante avvocato facente parte della migliore società, ma un reietto. Ciò che queste due figure hanno in comune è la mancata accettazione di uno status quo, e l’utilizzo di azioni arbitrarie e individuali per modificare il proprio ambiente. In entrambi i casi le loro opere minano la legalità, ma da un punto di vista morale sono orientate verso il bene.

Di fronte a queste contraddizioni è giusto chiedersi: cosa avrebbe dovuto fare Sam per comportarsi bene? Le diverse possibilità avrebbero presentato tutte dei lati sia positivi che negativi che non si sarebbero potuti ignorare. In un caso avrebbe potuto scegliere di sopprimere la sua morale per adeguarsi a dei valori da lui non condivisi. In un secondo caso avrebbe potuto (se fosse stato possibile) rinunciare al caso e lasciare che se ne occupasse qualcun altro, e così facendo sarebbe stato corretto sia da un punto di vista legale che morale, ma la sua moralità sarebbe stata lo stesso intaccata dalla possibilità non colta di fermare il male. Infine, avrebbe potuto comportarsi come ha fatto, cioè agendo arbitrariamente per promuovere una giustizia da lui sentita.

La verità è che non c’è una risposta assoluta riguardo ciò che sarebbe stato bene e ciò che sarebbe stato male, l’agire di Sam è semplicemente la manifestazione più sincera di ciò che l’umanità è, nei suoi dilemmi, nelle sue contraddizioni, e nella ricerca di un’uguaglianza tanto ambita quanto delicata da perpetuare.

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Gaia Fanelli,
Redattrice.