Il Calligrafismo è un movimento che si è sviluppato nei primi anni del dopoguerra e ha avuto vita breve, tra il 1940 e il 1943. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1922 dal critico letterario G. A. Borgese per indicare la tendenza degli scrittori a concentrarsi eccessivamente sull’esteriorità formale e meno sul contenuto. Lo stesso tipo di poetica è stato portato avanti da parte dei cineasti che si definirono, per l’appunto, “calligrafici”. Il cinema di questi anni vanta registi quali Mario Soldati, Alberto Lattuada e Ferdinando Maria Poggioli.
SCELTE ESTETICHE DEI “CALLIGRAFICI”
Il principio cardine di questi autori era l’ allontanamento dal cinema politicamente impegnato che aveva caratterizzato gli anni del regime fascista. “La cinematografia è l’arma più forte dello Stato”, affermava Benito Mussolini nel 1922, mostrandosi pienamente consapevole delle potenzialità che il cinema aveva per diffondere gli ideali del regime. Lattuada definiva come segue lo stile dei calligrafici:
“il rifiuto di usare questa meravigliosa arma così forte per la propaganda; da qui il bisogno di rifugiarsi nei canoni letterari e nei temi che non illustrassero in nessun modo quello che poteva essere l’ingigantimento del movimento fascista”.
L’obiettivo era quindi quello di rimettere al centro dell’attenzione la bellezza visiva e tecnica dell’arte cinematografica e di produrre cinema con l’intento di creare qualcosa di esteticamente gradevole: non a caso le produzioni che appartengono al genere sono tecnicamente e stilisticamente impeccabili. Inoltre, il movimento desiderava affermare l’autonomia del cinema in quanto arte, in contrapposizione alle altre forme artistiche, e competere con il cinema europeo di quegli anni.
In realtà, i cosiddetti “calligrafici” non si consideravano una corrente cinematografica italiana. In quegli anni i protagonisti della settima arte erano poco numerosi e non sentivano di appartenere allo stesso gruppo. Lo rende esplicito Mario Soldati quando afferma che
“in quel periodo tutti quelli che non erano «comunisti» erano «calligrafici». Io mi sentivo antifascista ma non ero comunista. Mi chiamavano «calligrafico» per questo, ma è un malinteso. E poi non c’era nessun gruppo…”.
Tuttavia , i critici della rivista Cinema li definivano in quanto tale per via dei tratti estetici e formali che tutte le loro produzioni condividevano, prima fra tutti una grande attenzione nella costruzione degli ambienti interni ed esterni. Lizzani, critico della rivista sopra citata, definiva come segue il movimento:
“C’è in esso [nel Formalismo] tutto il disprezzo (non confessato naturalmente, ma non meno reale) per «l’accaduto umano», c’è il rifiuto, in una tale tendenza, per tutto ciò che ha sapore di realtà, per tutto ciò che è il «moderno» in ogni tempo: l’attuale, il reale, l’uomo nella sua vicenda giornaliera.”
Le storie sono spesso ispirate ai romanzi italiani dell’Ottocento, tra cui quelli di Antonio Fogazzaro e Emilio De Marchi, ma anche internazionali, in particolare romanzi russi e francesi. Non a caso le produzioni hanno visto la collaborazione alla sceneggiatura di diversi letterati, tra cui Emilio Cecchi, Corrado Alvaro ed Ennio Flaiano. I calligrafici promuovevano, quindi, un cinema di matrice letteraria, in cui la letteratura era considerata fonte di ispirazione per la creazione di personaggi, storie e intrecci.
Piccolo mondo antico
PRINCIPALI ESPONENTI
Colui che ha iniziato il genere è Mario Soldati, che nel 1941 ha girato Piccolo mondo antico, un film tratto dall’omonimo romanzo di A. Fogazzaro (1896). La storia è ambientata nel 1850, in un “piccolo mondo antico” in cui Franco, un giovane aristocratico, sposa Luisa Rigey contro il parere della nonna, la marchesa Maironi. La critica cinematografica di quegli anni mise in evidenza la fedele resa dei costumi e delle ambientazioni, pur accusando il film di una certa freddezza. La pellicola rappresenta appieno lo stile e il gusto calligrafico e solo la critica più recente ha valorizzato la produzione di Mario Soldati. Tuttavia, anche negli anni Quaranta non mancarono le critiche positive, le quali giudicarono la produzione di Soldati colta e matura, come un’alternativa alle produzioni spesso frivole del cinema dei telefoni bianchi e al documentarismo degli anni Quaranta. Si tratta di un film dal gusto teatrale, lontano dal realismo che si auspicava per il cinema del dopoguerra, ma l’intento dei calligrafici era proprio quello di trasporre cinematograficamente dei classici della letteratura, un compito svolto dal cinema sin dalle sue origini e capace in questo caso di estrapolare le produzioni dalla triste realtà del dopoguerra.
L’anno successivo Soldati girò Malombra (1942), nuovamente tratto da un romanzo di Fogazzaro (1881), in cui la giovane Marina di Malombra tenta di vendicare un’antenata che credeva essersi reincarnata in lei. Anche questa volta, la critica si divise tra coloro che accusavano Soldati di essersi rifugiato nel Calligrafismo per fuggire alla rappresentazione della realtà. Esemplificativo è il giudizio di Antonio Pietrangeli che defì la produzione “Fredda, annoiata, striminzita, presuntuosetta, untuosa, orpelli di qua e di là”. Diego Calcagno, invece, pose in luce l’ottima resa cinematografica di uno dei più inquietanti romanzi di Fogazzaro e l’elevatissima qualità della fotografia. Ad ogni modo, la critica che si è occupata retrospettivamente del film, lo ha rivalutato alla luce del contesto in cui è avvenuta la produzione. Il critico Guido Aristarco ha affermato che Malombra rappresenta un esempio di “ ‘resistenza passiva’ […], a fronte di una resistenza più impegnata e solerte”. Il critico francese Jean A. Gilli ha aggiunto che “non ci si è accorti che la cura della forma non soffocava la tensione profonda delle opere”.
Un altro regista che con grande lucidità rispettò lo stile calligrafico è Alberto Lattuada, che proprio in quegli anni girò il suo primo film: Giacomo l’idealista (1943), tratto dall’omonimo romanzo di Emilio De Marchi (1897). Lo stesso regista disse che
“era un film che sotterraneamente discuteva la struttura ancora esistente, ancora forte, dei tabù religiosi, dell’ipocrisia cattolica […] pensavo che un film scritto bene ha più valore che non il tentativo di fare un semi documentario oppure di strappare la realtà con immagini magari disordinate, non mi sembra una colpa, anche se mi hanno accusato di “calligrafismo” […] Si è visto in sostanza che quello che era chiamato formalismo era il modo più elegante di sfuggire alla propaganda che veniva suggerita”.
Malombra
CRITICHE
Come sottolineato precedentemente, si tratta di un movimento che è stato accolto non senza diffidenze e critiche. Il Calligrafismo ha cronologicamente seguito il cinema dei telefoni bianchi, giudicato incapace di rappresentare le complessità del dopoguerra. Tuttavia, anche il Calligrafismo è stato accusato di occuparsi eccessivamente della messa in scena e, di conseguenza, di non apportare le novità cinematografiche che si auspicavano. I personaggi furono spesso descritti come di scarso spessore psicologico anche se, tuttavia, i film mettono spesso in scena storie con protagoniste femminili psicologicamente complesse, con incubi, allucinazioni, sogni e desideri. Le principali critiche arrivarono da coloro che avrebbero in seguito dato vita al Neorealismo, il quale presenta dei tratti estremamente diversi: grande cura del contenuto, nel quale si vuole dare voce alle problematiche delle classi lavoratrici e disagiate; allontanamento dalle tecniche teatrali grazie alla presenza di attori perlopiù non professionisti e lunghe riprese all’aperto; infine, personaggi dotati di grande umanità.
Giacomo l’idealista
CONCLUSIONI
Il Calligrafismo è stato un movimento che è passato a lungo inosservato, oscurato dall’ondata Neorealista. Una sua rivalutazione è avvenuta solo a partire dagli anni Sessanta, quando ci si è resi conto che per i calligrafici (non solo A. Lattuada e M. Soldati, ma anche F. M. Poggioli, D. Chiarini e R. Castellani) lo stile non era un modo per rifugiarsi dalla realtà ma, come ha notato il critico G. P. Brunetta,
“scelgono volontariamente una sorta di isolamento polemico e di allontanamento dal presente [che] contribuisce in modo decisivo a migliorare il livello medio della produzione”.
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