Nel 2002, Richard Linklater annunciò l’inizio delle riprese di un film la cui produzione avrebbe abbracciato un arco temporale di ben dodici anni: Boyhood (2014). Questo ambizioso progetto intendeva seguire l’infanzia e l’adolescenza di Mason, interpretato da Ellar Coltrane, dai sei ai diciotto anni, catturando autenticamente il passaggio del tempo e la crescita del protagonista.
Tra gli attori principali, insieme all’esordiente Coltrane, figuravano Patricia Arquette e Ethan Hawke nel ruolo dei genitori di Mason, e Lorelei Linklater, figlia del regista, nel ruolo della sorella.
La sceneggiatura, pur basandosi su una struttura solida, veniva continuamente adattata e arricchita. Linklater rivedeva il girato anno dopo anno e traeva ispirazione dalle esperienze di vita vissute dagli attori, in particolare da Ellar Coltrane, il quale contribuiva con le proprie riflessioni e il proprio sviluppo personale. Questa metodologia permetteva di catturare non solo l’evoluzione fisica dei personaggi, ma anche il loro sviluppo emotivo e psicologico, rendendo Boyhood un ritratto straordinariamente autentico e vibrante della crescita.
L’importanza degli istanti
Il racconto dei momenti che intercorrono tra gli eventi cruciali della vita è una delle costanti del cinema di Richard Linklater. Egli conferisce una voce specifica a quegli istanti che ci segneranno nel profondo e contribuiranno, passo dopo passo, a plasmarci nelle persone che siamo oggi. Mentre il cinema tende a costruire narrazioni colme di momenti straordinari, scandite da tempi e spazi ben definiti, Linklater ha sempre preferito mettere in luce l’importanza dell’ordinario. Non si tratta del classico “straordinario nell’ordinario”, bensì di un più realistico “ordinario nell’ordinario”.
L’impresa del regista texano, apparentemente impossibile e paradossale, è il tentativo di rappresentare la vita (o almeno gli anni più significativi) di un ragazzo, esplorando esperienze, crisi familiari, amicizie, primi amori e prime delusioni.
Synecdoche, Linklater
Nella vita di un adolescente, però, momenti ordinari e straordinari tendono spesso a confondersi e a mescolarsi. Ogni piccola cosa sembra più grande di quanto non sia realmente, mentre momenti più significativi si rivelano tali solo anni dopo. Il flusso del racconto di Boyhood, non tradizionale come di consueto nella filmografia del regista, non si limita ad offrire semplici istantanee di un’infanzia o di un’adolescenza, ma assume le sembianze di una vita vera e propria. Esso tratta lo scorrere del tempo, elemento cruciale nell’opera di Linklater, come il senso stesso della vita: vivere il momento e lasciarsi vivere da esso.
Ed è proprio per questo che Boyhood rappresenta la summa della poetica linklateriana, la sua massima espressione sia formale che filosofica. In “Prima dell’alba” (1995), due giovani si incontrano su un treno e si innamorano per le strade di Vienna; ogni secondo del film è funzionale a quello successivo, ma nessuno è più importante dell’altro, poiché il loro innamorarsi è composto dalla totalità di quei secondi, dal loro scorrere nel tempo e dall’evoluzione dello stesso. Similmente, in Boyhood assistiamo alla formazione di un individuo che non è nient’altro che la conseguenza (e la mescolanza) stessa dell’insieme dei momenti vissuti, cruciali o meno. La vita del giovane Mason si svela, infatti, attraverso una serie di frammenti che compongono un complesso mosaico della sua esistenza. Come Nicole dirà a Mason alla fine del film: “non siamo noi a cogliere l’attimo, ma è l’attimo a cogliere noi”; è il tempo che scorre a dare una forma ed un significato alla vita, poiché ogni istante viene (e vive) in funzione di quello successivo.
In questo senso, Boyhood non è solo il ritratto di un giovane, ma una meditazione sul tempo, sull’evoluzione personale e sulla bellezza intrinseca della vita stessa. Linklater ci incita ad osservare, a leggere tra le righe e farci cogliere da quei momenti che, anche se apparentemente insignificanti, costituiscono in realtà la trama della nostra esistenza.
“I don’t want to be a big man”
Nelle sue opere, Linklater attribuisce una rilevanza preminente agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, restituendo con straordinaria sensibilità e autenticità i momenti di spensieratezza e le emozioni profonde che caratterizzano la formazione dell’individuo. Il regista evidenzia come ogni esperienza, che sia positiva o negativa, contribuisca in modo significativo alla crescita personale. Nella rappresentazione dell’infanzia, traspare una marcata nostalgia, in cui l’innocenza e la spensieratezza sono delineate come privilegi di cui non sempre siamo consapevoli. Al contempo, Linklater non esita a rivelare le sfide e le sofferenze dell’adolescenza, non trattandole come mere difficoltà, ma come tappe inevitabili e imprescindibili del processo di maturazione. Per Linklater, è essenziale accogliere anche il dolore e le avversità, poiché sono queste esperienze a preparare l’individuo alle complessità della vita adulta. Il padre dirà infatti al giovane Mason di aggrapparsi ai propri sentimenti, poiché “quando cresci, ti viene la pelle dura”. Allo stesso modo, il monologo finale della madre offre una riflessione straziante e disincantata sulla fugacità del tempo, una consapevolezza della transitorietà della vita e il rimorso di non essersi mai fermata a godersi quei momenti che intercorrono le tappe fondamentali della vita. Ma sarà lo stesso Mason, nell’ultima inquadratura del film, a decidere di fermarsi insieme al tempo e di “farsi cogliere dall’attimo”.
![Icona icona](https://framescinema.com/wp-content/uploads/2023/03/Progetto-senza-titolo-3-1.png)
Scrivi un commento