Alcune modelle si trovano sul set di uno shooting fotografico, vestite con abiti stravaganti e circondate da grosse lastre di vetro scuro. Il fotografo incaricato di effettuare lo shooting non sembra essere particolarmente contento: le pose assunte dalle ragazze non gli piacciono, non ama il modo in cui i loro vestiti interagiscono tra di loro e con il set, persino le espressioni delle modelle sembrano infastidirlo. Anche quando gli scatti iniziano finalmente a moltiplicarsi pare esserci qualcosa che non va, che non funziona come dovrebbe, e il fotografo ne è consapevole. La sua vita è ormai un via vai di servizi poco impegnati, progetti mai portati a termine e sconforto generale verso la sua professione. Eppure sarà proprio la sua macchina fotografica a trascinarlo nell’esperienza più assurda della sua vita.

Questo articolo contiene spoiler sul film in questione.

Un giallo senza finale

Thomas (David Hemmings), fotografo londinese un po’ scorbutico, passa le sue giornate tra un servizio fotografico di moda e la ricerca di ispirazione per il nuovo portfolio da realizzare. Dato il suo lavoro che gli permette di mantenere un tenore di vita più che dignitoso (del resto, gira per la città con una splendida Rolls Royce), Thomas non sembra essere soddisfatto. Non è più attratto dal mondo della moda e in generale è pervaso da un sentimento di insoddisfazione nei confronti della vita. Tuttavia, proprio mentre è alla ricerca di nuove immagini in giro per Londra, Thomas incontra una coppia di amanti in un parco e inizia a scattare loro delle fotografie nascosto tra gli alberi. Subito viene raggiunto dalla donna della coppia che gli chiede il rullino contenente le immagini e, al rifiuto del protagonista, si presenta l’indomani nel suo ufficio insistendo per avere le foto scattate al parco. Thomas naturalmente si insospettisce, consegna alla donna un rullino falso, e procede ad esaminare accuratamente le fotografie del giorno precedente effettuando anche numerosi ingrandimenti (blow-up, appunto). Inizialmente non sembra esserci nulla di strano, ma a Thomas non occorre molto tempo per fare una scoperta sconvolgente: tra i cespugli del parco, piccolo piccolo e in fondo, spunta il volto di un uomo che tiene distintamente in mano una pistola puntata sulla coppia. Che si trattasse di un tentato omicidio? Dov’era finito l’uomo? La pistola aveva sparato?

L’eroe di Antonioni

Il cosiddetto “viaggio dell’eroe” è considerato uno degli schemi narrativi più ricorrenti all’interno della tradizione del racconto. Si basa sul concetto di archetipo teorizzato da Jung, una figura che è sempre esistita e sta all’origine del gigantesco bacino culturale di conoscenze umane. Ognuno di questi archetipi si riflette all’interno dei personaggi del racconto, e forse quello dell’eroe è il più importante.

L’eroe è colui che dà inizio alla storia, che sceglie di cambiare il proprio destino uscendo dalla monotonia del suo mondo e accettando di esplorare l’ignoto. La missione dell’eroe per raggiungere il proprio obiettivo (che sia fisico o meno) è costellata di continue sfide e incontri con alleati e nemici. Dopo il superamento della “grande prova” finale, l’eroe giungerà finalmente al proprio scopo e potrà decidere di tornare nel suo mondo (magari con una ricompensa).

Antonioni non si allontana da questo schema e lo ripropone aggiungendovi la sua filosofia e il suo stile unico: Thomas è l’eroe della storia, anche se può sembrare atipico, e il suo scopo è la ricerca della verità. Qui il “passaggio della soglia”, momento in cui l’eroe sceglie di intraprendere la sua missione, è subito riconoscibile. Parliamo della scena in cui Thomas invita due modelle a casa, si diverte insieme a loro nello studio, fino a posare gli occhi su una delle fotografie sviluppate che aveva scattato al parco; è qui che si rende effettivamente conto che, nascosta tra i cespugli, si intravede una figura.

L’eroe Thomas va quindi alla ricerca della verità, ma il destino si prende gioco di lui: recatosi di notte al parco il protagonista scopre il cadavere dell’uomo della coppia, tuttavia quando torna in studio tutti i negativi e le stampe ingrandite sono scomparsi, probabilmente rubati da qualcuno. Thomas si è sempre fatto beffe della realtà, ma ora tutto sembra ribaltarsi. Nemmeno l’amico Ron, quello che pensavamo fosse un alleato, aiuta il protagonista: lo trascina invece in un festino con alcune modelle da cui Thomas se ne andrà soltanto la mattina dopo, stordito e confuso. Non sapendo più cosa fare torna nuovamente al parco, stavolta con la macchina fotografica, ma il cadavere è ormai scomparso nel nulla.

Non c’è soluzione all’omicidio, non c’è un colpevole, non c’è più nemmeno un cadavere.

Il viaggio dell’eroe si conclude quindi apparentemente nel nulla, ma è un viaggio perfetto per la filosofia di Antonioni. Diffuso negli anni ’60 era infatti il pensiero che vedeva l’uomo come incosciente di fronte agli eventi della natura, un uomo che crede di conoscere perfettamente la realtà, sbagliando. La natura risulta indecifrabile e l’unica soluzione è accettare ciò che abbiamo davanti senza cercare sempre di far prevalere la ragione e la logica. Ecco spiegata anche la scena finale di Blow-Up, in cui Thomas si unisce ad alcuni artisti di strada (probabilmente mimi), intenti a giocare a tennis con una pallina che non esiste. Questa finisce al di là della rete del campo, uno dei mimi chiede al fotografo di restituirla e Thomas accetta di farlo. Se l’uomo non avesse accettato il suo ruolo nel mondo non avrebbe idea di dove andare a cercare la pallina. Eppure, è lì che la rilancia indietro.

Renata Capanna,
Redattrice.