Prima della Palma d’oro nel 1991 con Barton Fink e dell’Oscar per Fargo cinque anni più tardi, Joel e Ethan Coen esordirono nel 1984 con Sangue Facile, un noir dal gusto pulp che sancisce l’inconfondibile stile della coppia di registi. Il film si aggiudicò il Gran premio della giuria al Sundance Film Festival, rivelando il talento dei fratelli Coen in uno dei più importanti festival cinematografici degli Stati Uniti.

La vicenda si svolge in Texas, dove Marty (Dan Hedaya), paranoico proprietario del bar del luogo, assume un investigatore privato per indagare sulla infedeltà presunta della moglie Abby (Frances McDormand) con un dipendente del bar, Ray (John Getz). Quando la relazione tra i due viene scoperta, Marty ordina all’investigatore di eliminarli, scatenando così una serie inarrestabile di avvenimenti messi in scena con grande intelligenza e sorprendente padronanza del mezzo cinematografico.

Impossibile restare indifferenti di fronte a quest’opera prima, in cui i futuri autori de Il Grande Lebowski sviluppano, seppur in forma embrionale, diversi elementi che diverranno tratti distintivi del loro cinema. Attraverso un duplice approccio che mescola la componente più ludica e spettacolare del cinema di genere, in particolare il noir e il thriller, alla loro visione del mondo intellettuale ed ironica, i Coen realizzano un film cupo, avvincente ed estremamente efficace.

Attingendo a tradizionali stilemi del cinema di genere – l’indagine su un presunto tradimento – viene strutturata una trama semplice, con pochi personaggi ma funzionale rispetto all’interesse dei registi. Non cercano, infatti, un racconto articolato o un’approfondita analisi psicologica dei personaggi, ma piuttosto mettono in primo piano gli eventi e l’interazione delle azioni dei vari personaggi. La narrazione è caratterizzata da ellissi narrative atte a mostrare l’essenziale, riuscendo comunque a mantenere il racconto organico e comprensibile, evidenziando un’eccellente gestione del montaggio in termini di ritmo e chiarezza narrativa.

L’ambientazione prevalentemente notturna, l’utilizzo di primi piani, dettagli e rapidi stacchi di montaggio, contribuiscono a creare un’atmosfera di tensione degna dei migliori film noir. Le scene diurne, invece, sono più distese e riescono a mantenere alta l’attenzione dello spettatore attraverso dialoghi che delineano efficacemente i caratteri e le relazioni dei personaggi. Particolarmente riuscita è la caratterizzazione del detective Visser, che nella prima parte del film appare ironico e apparentemente spensierato, proprio grazie a dei dialoghi sempre azzeccati. Nella seconda parte del film, invece, assisteremo a una trasformazione che lo vedrà feroce e implacabile.

Tuttavia, oltre a una serie di intuizioni visive notevoli – come il rapido movimento di macchina che ricorda evidentemente uno dei marchi di fabbrica di Sam Raimi, amico e collaboratore dei Coen nei primi anni di carriera – ciò che colpisce in questo film è la visione degli autori rispetto ai fatti messi in scena. L’ironia, che contraddistingue la quasi totalità dei loro film è presente anche nel loro esordio, seppur sotto forma di una sua variante macabra e appena accennata. A questo si lega un altro elemento imprescindibile della poetica coeniana: il caso. La casualità, totalmente imprevedibile ma cruciale, condiziona profondamente la sequenza in cui Ray ritrova e occulta il cadavere di Marty.

Sapientemente, la coppia di registi dedica diversi minuti a questo evento, avendo così l’opportunità di affinare il proprio stile, sperimentando la creazione e gestione della tensione. Sperimentano anche l’inserimento di trovate vagamente comiche in situazioni decisamente drammatiche, come il tentativo di Ray di asciugare un’enorme pozza di sangue con la propria camicia. Infine, rivelano come un evento casuale, verificatosi all’inizio della sequenza, possa determinare la vita o la morte di uno dei personaggi principali, perfetta conclusione di una sequenza che risulta essere il vero fiore all’occhiello del film.

In conclusione, Sangue facile non solo offre un grande intrattenimento cinematografico, nonostante possa emergere una certa – e del tutto legittima – inesperienza da parte degli autori, controbilanciata dall’indiscutibile talento, ma costituisce anche il fondamento della loro carriera, grazie al quale sono diventati punti di riferimento nel panorama del cinema postmoderno.

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Riccardo Fincato,
Redattore.