Nel 1951 nelle sale italiane esordisce Bellissima, diretto da Luchino Visconti. Questo film segnò le distanze dal periodo neorealista, inaugurato dal regista con il film Ossessione (1943). Il soggetto è stato scritto da Cesare Zavattini, un nome che ha tracciato la storia del cinema italiano e del neorealismo stesso. L’idea iniziale non colpì Visconti, il quale decise di ribaltare il soggetto in uno apertamente critico nei confronti di quello stesso movimento culturale del quale era stato uno dei massimi esponenti. La distanza con la filosofia neorealista venne ufficialmente sancita in un’intervista che Visconti rilasciò per la rivista “Cinema”: 

«Penso sarebbe meglio parlare di “realismo” semplicemente. Il grosso errore da parte di Germi, ed anche di De Sica, con tutta la stima che ho per loro, è quello di non partire da una realtà sociale effettiva. […] Non si può, non si deve uscire dalla realtà. Io sono contro le evasioni».

Sono state redatte numerose versioni del soggetto e della sceneggiatura, tra loro molto diverse e alle quali lo stesso Visconti apportò numerose modifiche insieme a Zavattini. Il regista decise di cucire il personaggio di Maddalena Cecconi sulla fisicità e sull’espressività di Anna Magnani, con la quale aveva desiderato lavorare sin dai tempi di Ossessione (1943). 
L’origine della storia è legata ad un episodio reale che coinvolse il regista Alessandro Blasetti, che è anche uno dei protagonisti del film. In un’intervista per la “Stampa” egli ha riportato che, pochi anni prima di Bellissima, durante alcuni provini per il film la Prima Comunione (1950), Blasetti aveva incontrato una madre estremamente determinata a trasformare la propria bambina in una stella di Cinecittà. Blasetti raccontò, inoltre, che la donna andava affermando che la sua piccina era “bellissima”; da qui probabilmente la suggestione per il titolo del film di Visconti.
Ciononostante, Bellissima non è esclusivamente una pellicola incentrata sul rapporto tra una madre e una figlia, ma è anche una rappresentazione fedele della Roma popolare del dopoguerra e del ruolo straordinario che Cinecittà ebbe nella vita dei romani.

Il mito di Cinecittà: l’evasione dalla realtà del dopoguerra

«Attenzione! Attenzione! Ci rivolgiamo a tutti i nostri ascoltatori, a tutti i nostri gentili e affezionati ascoltatori! Attenzione, papà, mamme, parenti. La Stella Film bandisce un grande concorso: cerca una bambina! Una bambina dai 6 agli 8 anni. Una graziosa bambina italiana. Portate dunque la vostra bambina alla Stella Film. Uffici di Cinecittà, via Tuscolana km 9. Potrà essere la vostra e la sua fortuna!»
– Voce di Corrado ne l’incipit di Bellissima

Maddalena Cecconi e la sua figlioletta non sono le uniche protagoniste del film. La loro storia si snoda, infatti, tra i numerosi quartieri romani, ma soprattutto tra gli studi di Cinecittà.
“Mamma” Cinecittà non è stata solamente la “Hollywood sul Tevere”, ma è tuttora un punto di riferimento insostituibile per la quotidianità del mio quartiere di Roma. La storia di Cinecittà nasce nel lontano 28 aprile 1937 in pieno regime fascista con funzione prettamente di intrattenimento e di propaganda, ma nel corso degli anni i suoi studi cinematografici hanno scritto i capitoli più importanti del Cinema italiano. I suoi teatri sono stati solcati da grandi nomi nostrani quali Federico Fellini, Vittorio De Sica, Sergio Leone e Pier Paolo Pasolini, ma anche internazionali del calibro di Elizabeth Taylor, Richard Burton, William Wyler, Martin Scorsese e molti altri.
Attraverso le inquadrature di Bellissima, Luchino Visconti e Cesare Zavattini restituiscono un’immagine reale della Cinecittà degli anni Cinquanta, un luogo caotico dove file immense di aspiranti comparse e attori sostavano davanti l’ingresso e dove operatori, tecnici e artigiani del settore lavoravano senza sosta per creare quei sogni che sarebbero poi stati trasmessi sul grande schermo. Negli anni Cinquanta il Cinema era Roma, e la città stessa aveva accolto il complesso degli studi nella propria vita di tutti i giorni. Per tale ragione, Bellissima è un film estremamente caro agli abitanti della capitale poiché fortemente radicato all’interno della realtà popolare romana, ma anche in quanto testimonianza storica della complessa realtà del secondo dopoguerra.
La trama del film si può riassumere così: a seguito di un annuncio radiofonico, un’orda di madri e di figlie si precipita a Cinecittà nella speranza di ottenere un provino per il nuovo film di Alessandro Blasetti. Tra queste c’è anche Maddalena Cecconi, una casalinga romana determinata a fare diventare sua figlia Maria una stella del cinema. Per fare ciò, la donna deve confrontarsi con numerosi ostacoli di natura economica, ma anche con l’indifferenza del marito Spartaco (Gastone Renzelli) che non comprende questa sua ossessione. I provini delle bambine si svolgono nello storico teatro cinque sotto lo sguardo del regista Alessandro Blasetti. E’ proprio all’interno di Cinecittà che il sogno di Maddalena si sgretola impietosamente rivelandosi un’illusione.

La vicenda di Maddalena e di sua figlia è una delle tante storie che molti di noi hanno sentito raccontare dai propri nonni o dai propri genitori e che hanno contribuito a dare vita al mito di Cinecittà come terra del riscatto.

«Voglio che mia figlia diventa qualcuno. Sì, voglio che mia figlia diventa qualcuno. Ce l’ho questo diritto? O è un delitto, secondo te? Non deve diventare una disgraziata mia fija. Non deve dipendere da nessuno… non deve pija le botte, come le pijo io. No! Non le deve pija!»
– Maddalena

Intere generazioni hanno varcato le soglie dei teatri di Cinecittà, situati in Via Tuscolana, fiduciose di poter trovare in essi la realizzazione dei propri desideri, legati alla fama, alla speranza di elevazione sociale oppure ad una pratica esigenza di lavoro. A ciò si aggiunga che, negli anni Cinquanta, Cinecittà stava ancora tentando di risollevarsi dalle ombre del fascismo, ma soprattutto dal periodo della guerra durante quale il complesso era stato trasformato, nella fase d’occupazione nazista, in un campo di prigionia per i civili catturati durante le operazioni di rastrellamento.
Questa è la Cinecittà che viene descritta da Visconti e che prende vita attraverso i personaggi di Alessandro Blasetti (interpretato da sé stesso), Maddalena Cecconi (Anna Magnani), Alberto Annovazzi (Walter Chiari) e della piccola Maria (Tina Apicella). Attraverso le loro vicende, la pellicola tenta di svelare l’ipocrisia e il cinismo che si cela dietro il mondo dello spettacolo, fatto di illusione, mercificazione e sacrifici fini a sé stessi. Secondo il critico Guido Aristarco: «la condanna del mondo di Cinecittà è comprensibile in tutta la sua estensione ed il suo valore […] il suo non è soltanto un “no” ad un ambiente specifico, più o meno corrotto, ma anche e soprattutto ad un mondo più estensibile e generale, a tutto un modo di concepire la vita ed il lavoro senza il rispetto dei sentimenti umani e dei sacrifici». Lo spettatore sarà guidato verso questa consapevolezza attraverso gli occhi di una madre, la quale ben presto si renderà conto del marciume dell’industria che, come un Moloch, sembra divorare ferocemente i suoi stessi figli.

Maddalena Cecconi, il riflesso di una diva

Come si è detto, Bellissima è un’opera di autocritica e superamento nei confronti di un’etichetta che a Visconti è sempre stata stretta, quella del neorealismo. Si tratta, infatti, di una pellicola che dialoga tra classico e moderno; questo lo si può notare soprattutto nella divisione in tre atti, tipica del Cinema classico Hollywoodiano, ma soprattutto nell’elogio divistico di Anna Magnani. Al fine di attuare tale operazione di ribaltamento degli stilemi neorealisti, Visconti sceglie due volti noti del cinema italiano, Anna Magnani e il regista Alessandro Blasetti. La prima fortemente legata al periodo neorealista e famosa per aver prestato il volto a Rossellini per il suo Roma Città Aperta (1945), il secondo, invece, celebre sia per le sue grandi doti di sperimentatore che per essere stato uno dei principali registi del cinema di propaganda fascista. Malgrado l’operazione meta-cinematografica, dettata dalla scelta di far interpretare Blasetti da sé stesso, Bellissima è prima di tutto un film cucito su Anna Magnani, poi una pellicola su Cinecittà e infine un’opera sulla rivalsa personale all’interno di una società in ricostruzione. Maddalena è una donna che lotta per realizzare il proprio sogno attraverso la figlia ed è spinta dal desiderio di riscatto nei confronti di un mondo misero, feroce e in mano agli uomini. La Magnani porta sullo schermo un’immagine reale e fedele delle donne romane del dopoguerra, riuscendo a dare voce alla difficile condizione familiare e sociale in cui il genere femminile versava in quel determinato periodo storico. L’attrice ci offre un ritratto vibrante della vita delle donne di borgata, ma non si limita solo a questo. La Magnani eleva il personaggio di Maddalena da figura scanzonata e popolare a eroina drammatica. Questo cambiamento avviene dapprima davanti allo specchio, medium straordinario di autoanalisi, e successivamente all’interno degli studi cinematografici, luogo per eccellenza della finzione.  Davanti allo specchio la Magnani dice: «In fondo, che è recita’? Se io mo me credessi d’esse’ n’artra, se facessi finta d’esse’ n’artra, ecco che recito!». In questo momento Maddalena cessa di essere tale e ai nostri occhi di spettatori si mostra Anna Magnani, la diva, l’attrice e l’essenza stessa del film. A tal proposito, Gianni Rondolino riporta una dichiarazione di Visconti sul ruolo della Magnani all’interno di Bellissima:

«Il vero soggetto era la Magnani: volevo tratteggiare con lei il ritratto di una donna, di una madre moderna e credo di esserci riuscito abbastanza bene, perché la Magnani mi ha prestato il suo enorme talento, la sua personalità. Questo mi interessava e, in minore misura, l’ambiente del cinema».

Lo studio cinematografico è, invece, lo spazio in cui Maddalena è costretta ad interfacciarsi con il cinismo e la spietatezza del mondo dello spettacolo nel momento in cui espone sua figlia al giudizio altrui. Durante la proiezione del provino della piccola Maria, Maddalena è costretta a confrontarsi con la vera realtà. Dinanzi alle risate di scherno del regista e dei suoi assistenti, la donna è costretta a tacere: la serietà del volto, il suo sguardo lucido e le labbra contratte della Magnani esprimono la dolorosa presa di coscienza di Maddalena e la sua allegria popolare cede il posto alla maschera tragica. Pur non emettendo alcuna parola, non possiamo far altro che commuoverci alla vista di una donna che si vede privata di quel sogno per il quale aveva compiuto tanti sacrifici. Dinanzi alla menzogna e alla crudeltà del mondo del Cinema, Maddalena sceglie sua figlia decidendo di mettere da parte le proprie aspirazioni personali che per disperazione aveva gettato sulla bambina. 
In conclusione, Bellissima si rivela un film di grande complessità e profondità. Oltre ad essere una critica al neorealismo, celebra la figura divistica di Anna Magnani. Al tempo stesso, però, è una pellicola che smonta il mito del cinema e di Cinecittà restituendoci una tangibile testimonianza della realtà romana degli anni Cinquanta. La rappresentazione del popolo è spietata e talvolta caricaturale, delineata da chi comprende che i sogni spesso sono destinati a scontrarsi con gli ostacoli e la durezza della realtà. Bellissima è il manifesto di quello che Visconti ha definito un Cinema “antropomorfico”, un’arte cinematografica impegnata a raccontare storie di uomini vivi. Da qui l’importanza degli attori che, secondo Visconti, sono «il materiale umano col quale si costruiscono questi uomini nuovi che, chiamati a viverlo, generano una nuova realtà, la realtà dell’arte».

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Benedetta Lucidi,
Redattrice.