Il 22 settembre ritorna nelle sale Avatar, colossal fantascientifico del 2009 diretto da James Cameron. Fino al 2019 aveva mantenuto il record come film ad aver incassato di più al botteghino, venendo superato, in seguito, da un altro colossal hollywoodiano, Avengers: Endgame. Fra i tre Premi Oscar ottenuti nel 2010 (fotografia, scenografia, effetti speciali), videogiochi, libri e parchi tematici, Avatar è entrato nell’immaginario collettivo e ha segnato un nuovo modo di fare cinema.
Anni di speculazioni su possibili sequel hanno accompagnato il film di Cameron negli ultimi anni: una vera e propria timeline che Vulture ha di recente rielaborato per fornire chiarezza ai fan di tutto il mondo. E finalmente l’annuncio: quattro sequel ambientati nella mitica terra di Pandora in programma fino al 2028. Il primo, Avatar – La via dell’acqua, uscirà il 14 dicembre 2022: nel frattempo, possiamo ritornare, per un giorno, nelle terre dei Na’vi.
LA MASSIMA ESPRESSIONE DEL 3D
Di Avatar se n’è parlato a lungo, da diversi punti di vista, adattandolo a dinamiche interpretative differenti. Certamente non sono mancate le critiche inerenti alla sceneggiatura, considerata da gran parte dei critici specchio del sistema produttivo hollywoodiano, in senso negativo.
Tuttavia, è innegabile come il film abbia segnato un turning point nell’arte di realizzare colossal. Questo merito coincide soprattutto con le innovazioni tecniche introdotte dalla Weta Digital, la società di produzione neozelandese fondata da Peter Jackson. Il secondo apporto è stato fornito da James Cameron e Vince Pace che hanno progettato, nell’arco di tre anni, un sistema di ripresa in 3D ad alta definizione fornito dalla Fusion Camera System.
UN FILM ECOLOGISTA
Avatar è un colossal fantascientifico basato su una trama molto semplice. Nel 2154, un gruppo di terrestri sta operando su Pandora, pianeta ricco di giacimenti di unobtainium, un cristallo ferroso che potrebbe porre fine ai problemi energetici della Terra. Tuttavia, la popolazione locale, i Na’vi, sono ostili alla presenza umana: per vincere la loro fiducia, i membri della missione fanno uso di avatar, ossia corpi di Na’vi prodotti in laboratorio e collegabili a coscienze umane. Attraverso questo sistema, il marine Jack Sully, costretto (da umano) su una sedia a rotelle, trasferisce la propria anima nell’avatar e, attraverso quel suo nuovo corpo, inizia a permeare la comunità.
Dietro a un intreccio così lineare, vi sono tanti temi che sono stati oggetto di riflessione. Fra questi, la marca ecologista è sicuramente quella più discussa. In Avatar si consuma la lotta fra due popoli, Na’vi e umani, questi ultimi nei panni di colonizzatori e sfruttatori delle risorse del pianeta: a incorporare questo intento sono le possenti macchine costruite al solo scopo di distruggere l’ecosistema extra-terrestre. In netto contrasto è l’attitudine dei Na’vi verso la natura che popola Pandora: un legame che si esplicita nel rituale di interconnessione con l’Albero delle Anime, sede spirituale dei loro antenati.
La volontà di infondere un carattere ecologico al film era già presente nel progetto iniziale, denominato Project 880: un concept in cui Pandora veniva dotata di un’intelligenza propria e capace di aizzare la propria fauna contro gli umani, sempre nel ruolo di usurpatori.
Avatar è dunque un film che riflette sul contrasto tra umanità e natura in contrapposizione con l’armonia fra Na’vi e ambiente: un tema che certamente risulta maggiormente percepito nella nostra contemporaneità, rispetto al 2009.
LA METAFORA TECNOLOGICA
Oltre a essere un film ecologista e intrinsecamente pacifista, Avatar avanza un’interessante riflessione sulla tecnologia, recentemente elaborata dallo studioso Ruggero Eugeni nel testo La condizione postmediale. Due tecniche si contrappongono nel film di Cameron: da un lato quella umana, usurpatrice ma al contempo innovativa (ne è un esempio il progetto avatar); dall’altro la tecnologia Na’vi, basata sulla profonda interconnessione fra specie e ambiente. A ben vedere, questa tecnologia pare lo specchio del legame che attualmente stiamo vivendo con gli ecosistemi mediatici: tutto si connette a tutto, in termini semplici. Seppur passato in secondo piano al tempo dell’uscita del film, la previsione di Cameron rispetto allo sviluppo delle nuove tecnologie si è rivelata (quasi) esatta. Certamente, come specie, non abbiamo ancora raggiunto l’armonia che intercorre fra Na’vi e natura: tuttavia è evidente come Avatar abbia concepito un ecosistema mediale col quale la società umana è in profonda connessione per quanto concerne gli aspetti della vita quotidiana.
Entro questi stimoli è interessante rivedere un film che ha segnato un punto di svolta cruciale nelle pratiche produttive hollywoodiane: e una revisione più consapevole dello stesso centrerebbe il significato di riportare nelle sale cinematografiche il film di James Cameron.
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