“Sì, quelle sono due torte a forma di cuori anatomicamente corretti”. È così che Anya Taylor-Joy ha da poco annunciato su Instagram di essersi sposata in gran segreto con il suo compagno di vita, pubblicando una foto dei due mentre mangiano un cuore commestibile decisamente e inquietantemente realistico. A soli ventotto anni appena compiuti Anya Taylor-Joy si è guadagnata il titolo di principessa gotica, perché la sua filmografia ha costruito in poco tempo un’immagine ben definita dell’attrice che sposa perfettamente uno stile dark a uno fiabesco. Porta delicatezza ed eleganza in contesti tetri e ostili, una raffinatezza che bilancia perfettamente il genere horror. È in quest’ultimo contesto che Anya Taylor-Joy che lancia la sua carriera, per poi proseguire su quella strada antagonistica che plasma un’immagine riconoscibile simile al divismo di altri tempi.
Il successo di Anya Taylor-Joy non è determinato dal talento, o almeno non solo. Chiariamo: ce n’è da vendere — lo dimostra già dal suo debutto nella pellicola horror The Witch — ma è una storia nata con l’inizio dei tempi il fatto che spesso in un’industria come quella di Hollywood il talento da solo non basta. Non deve nemmeno ringraziare la bellezza, in realtà. Anya Taylor-Joy, del resto, non rispetta i classici canoni holliwoodiani. Saranno i tratti del viso decisi o gli occhi particolarmente distanti tra loro, ma quello di Anya è un volto nuovo, diverso, purtroppo spesso preso in giro, ma che ha in qualche modo trovato il suo spazio nella rosa dei visi riconoscibili.
In particolare, Anya Taylor-Joy possiede un magnetismo raro che ha molto a che fare con il concetto di fotogenia. Storicamente parlando, Louis Delluc, regista, sceneggiatore e critico cinematografico francese, diede un fondamentale contributo alla teoria del cinema: fondò il concetto di fotogenia, che troppo spesso semplifichiamo nel colloquiale con un “viene bene in foto”. Per Louis Delluc la fotogenia è un concetto assai più complesso. Si tratta di una qualità presente naturalmente nelle cose e negli esseri, ma che risulta evidenziata e accresciuta dalla riproduzione fotografica e cinematografica. Per Delluc non solo occorre essere capaci di cogliere la bellezza fotogenica di ciò che viene ripreso o fotografato, ma soprattutto occorre individuare quegli oggetti, quegli individui e quei fenomeni dotati di tale bellezza. La fotogenia è dunque un tipo di bellezza presente nei soggetti e negli oggetti ripresi o fotografati, una qualità non solo determinata dal rispetto di determinati canoni, ma del modo in cui questi interagiscono per natura con la telecamera.
Anya Taylor-Joy si impadronisce di questa trascendentalità descritta da Delluc come pochi attori della nuova generazione hanno saputo fare. Se a Timothée Chalamet basta versare una lacrima in primo piano per magnetizzare lo spettatore, Anya Taylor-Joy poggia sulle spalle di una storia del divismo complessa guadagnata con il sudore. Pensiamo a Barbra Streisand e il suo riconoscibilissimo naso, a James Dean e le sue drammatiche sopracciglia o a Bette Davis e i suoi occhi magnetici. Si tratta di attori che hanno sfidato le regole del gioco, con la ricompensa di essere entrati negli annali della storia del cinema, con uno spazio futuro per il nome di Anya.
Quelle dell’attrice statunitense del resto sono scelte di carriera intelligenti che la allontanano da personaggi comuni e terreni, come l’immaginaria Sandie in Ultima Notte a Soho o la misteriosa e inarrivabile Gina Gray in Peaky Blinders. È poi in generale nel genere horror che trova la sua casa, nel quale lo “strano” ha libertà espressive infinite. Soprattutto, però, si impadronisce dei primi piani ne La Regina degli Scacchi, la miniserie che l’ha portata all’apice del successo. Il suo volto assume qui un’importanza comunicativa che va quasi a superare la serie stessa come prodotto mediatico. Se ne serve del resto anche il team marketing dedicato alla promozione della serie, che per poster e banner ufficiali sceglie semplicemente il viso di Anya centrato e ben illuminato. Lei diventa la miniserie e la miniserie diventa lei. Così Anya si trasforma da principessa a regina della fotogenia. E se non basta essere canonicamente belli per essere fotogenici, Anya ci dimostra i limiti dell’estetica contraria. Ne La Regina degli Scacchi i contorni delle labbra sono accentuati da linee decise e definite, disegnando contrasto tra il viso angelico e un trucco più deciso, accentuando il conflitto tra principesco e gotico. La particolarità intrinseca degli occhi dell’attrice è accentuata da un trucco vistoso e importante: mentre il trucco avrebbe avuto la possibilità di omogenizzare quel tratto del viso al resto del cast, qui viene presa la consapevole decisione di accentuarne la diversità. Anya usa la fotogenia a suo favore indossando il difetto come un gioiello di cui fare tesoro. Quella del contrasto con il canone di bellezza contemporaneo è un’arte che si è andata a perdere con gli anni, ma Anya Taylor-Joy la resuscita riplasmando un divismo al contrario, dove la diversità è simbolo di emancipazione.
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