Jan Tomáš Forman è stato un regista eccezionale, eclettico e acuto: di origine cecoslovacca, naturalizzato statunitense, come cineasta è noto a pubblico e critica con il suo nome d’arte, Miloš Forman. Dodici lungometraggi, di cui tre girati in Cecoslovacchia, costellano la sua filmografia: fra questi, figurano Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over The Cuckoo’s Nest, 1975) – che è valso al regista il Premio Oscar alla regia – Larry Flynt – Oltre lo scandalo (The People vs. Larry Flynt, 1996) e Man on the Moon (1999).
Ma oltre a questi titoli, innegabile è la fama di Amadeus (1984), film che ha fatto guadagnare a Forman il suo secondo Oscar alla regia e del quale quest’anno si celebrano i quarant’anni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche. Basato sulla pièce teatrale di Peter Shaffer, Amadeus è sovente paragonato a Barry Lyndon (S. Kubrick, 1975), non solo in quanto entrambi film in costume, ma anche per la narrazione di ampio respiro, la cura maniacale per i dettagli scenografici, la colonna sonora formata da brani di musica classica, e la scelta di entrambi i registi di utilizzare l’illuminazione naturale delle candele in scena, scelta resa possibile da rivoluzionarie lenti Zeiss e macchine da presa avanguardistiche.
Tuttavia a differenza del capolavoro di Kubrick, basato sul romanzo Le memorie di Barry Lyndon (W. Makepeace Thackeray, 1884), il capolavoro di Forman concerne la “leggenda” del rapporto conflittuale intercorso fra i compositori Wolfgang Amadeus Mozart e Antonio Salieri – un presupposto letterario ad oggi, così come all’epoca, largamente smentito dalle fonti. Tuttavia, né Forman né Shaffer intendevano ingannare il pubblico: oltre al titolo del film, accompagnato dall’attribuzione al drammaturgo inglese (Peter Shaffer’s Amadeus), l’espediente adoperato da regista e drammaturgo è funzionale alla riflessione concernente la natura del genio, e la sua percezione da parte della cultura, della società e della politica.
Mozart, il campione del binomio genio-sregolatezza
A una prima visione, appare straniante conoscere un Mozart eccentrico, burlone, donnaiolo, dalla risata facile e fragorosa: è un’immagine ben lontana dal celeberrimo ritratto del compositore realizzato da Barbara Krafft nel 1819, dipinto che rappresenta un giovane musicista ben vestito e all’apparenza distinto. Senza addentrarci nell’aderenza storica, giacché del film di Miloš Forman stiamo parlando, Wolfgang Amadeus Mozart è incarnato da Tom Hulce, al tempo attore alle prime armi, che plasma un’immagine poco canonica del compositore austriaco. Mozart è l’anti-musicista per eccellenza, un ragazzo che, giunto alla corte dell’imperatore Giuseppe II, non teme l’infrazione di regole e canoni dell’epoca, come ad esempio la messa in musica del libretto proibito Le nozze di Figaro. Ulteriore indice della sua eccentricità è la scelta di parrucche stravaganti che egli indossa nel corso di eventi ufficiali, quasi nel tentativo di lanciare una moda nelle vesti di una rockstar d’altri tempi. In aperto contrasto con gli altri compositori di corte – fra i quali Salieri, ma sulla sua figura ci concentreremo più avanti – che non comprendono gli intuiti geniali del musicista, Amadeus diviene inesorabilmente un outsider, anche e soprattutto per il suo stile di vita sregolato.
Tuttavia, il ritratto di Mozart realizzato da Forman è ben lontano dalla monodimensionalità: in alcune scene vediamo un compositore profondamente connesso alla sua opera, che trascorre ore e ore della giornata per scrivere la musica che la sua mente produce “quasi su dettatura”, come afferma Salieri quando viene a conoscenza del fatto che Mozart non produce copie, ma che tutte le sue opere sono scritte su spartiti originali. Secondo la visione di Forman e Shaffer, la decadenza e il progressivo deperimento fisico del compositore sono causati da quel microcosmo che gravita intorno alla corte di Giuseppe II: compositori, vescovi e nobili sono la causa più o meno diretta del tracollo finanziario di Mozart, sulle quali peserà anche (e soprattutto) la dipartita del padre, il primo a credere nel suo genio musicale. Sotto la scorza di stravaganza e sregolatezza, si cela dunque un eroe insicuro, solitario e devoto alla sua musica che, tuttavia, non scende mai a compromessi, ed è restio a mostrare il lato più fragile di sé.
Salieri e la beffa divina
Vienna, 1823: un anziano Antonio Salieri, interpretato dal premio Oscar F. Murray Abraham, ci viene presentato mentre tenta il suicidio e grida, disperato, di essere l’assassino di Mozart. Trasferito in un manicomio, un giovane parroco gli fa visita, nella speranza di comprendere la natura del suo gesto estremo e anticristiano. Questi, tuttavia, non riconosce il compositore, nemmeno quando Salieri intona due motivi celebri nel suo periodo di massimo successo. Ma quando egli suona le prime note di Eine kleine Nachtmusik, il parroco continua la melodia con gioia, dimostrando di conoscere il pezzo. La tesi di Salieri pare confermata: se la sua musica ha subìto lo scorrere inesorabile del tempo, quella di Mozart non è stata dimenticata.
Da questo momento in poi, Antonio Salieri inizia un lungo racconto che pone in parallelo la sua storia con quella di Mozart: se egli trascorre la sua giovinezza in un piccolo borgo italiano coltivando il proprio amore per la musica (senza il consenso del padre), Amadeus è un enfant prodige che si esibisce dinnanzi a imperatori e al papa, supportato dal padre. Nonostante la differente estrazione sociale e la diversa provenienza geografica, ambedue i protagonisti finiranno per convergere a Vienna, la capitale e il cuore pulsante della musica. Ma il percorso di Salieri viene narrato come una strada tortuosa e in salita. Durante la messa domenicale, il giovane domanda a Dio di far di lui un grande musicista, promettendogli in cambio la sua castità, il dono più alto che un ragazzo possa fare all’Onnipotente. Ironicamente, pochi giorni dopo il padre muore in circostanze improvvise, e così Salieri, libero delle imposizioni paterne, intraprende la sua agognata carriera, faticando come nessun altro. Il suo scopo? Far sì che la sua musica sia la materializzazione della voce di Dio.
Ma quando la sua ben avviata professione come musicista di corte pare consolidata, Mozart giunge a Vienna, e le sue convinzioni vanno in frantumi. Come abbiamo evidenziato in precedenza, Amadeus è un giovane spiritoso e dedito alle gioie della vita: Salieri, di converso, conduce un’esistenza da timorato divino. Quando Salieri ode per la prima volta un’opera di Mozart, rimane sconcertato: “perché Dio avrebbe scelto un fanciullo osceno quale suo strumento? Era incredibile, quel pezzo doveva essere un caso, per forza. Guai se non lo fosse stato!”, confessa Salieri al parroco: perché Mozart, un giovane lascivo, e non lui, un timorato di Dio? E dopo l’iniziale scetticismo, Salieri vede crollare definitivamente il suo castello di certezze quando Costanze Weber (Elizabeth Berridge), moglie di Mozart, porta ad Antonio alcuni spartiti del marito, sperando in una sua buona parola, giacché la coppia naviga in cattive acque. La scoperta è sconvolgente.
“Era chiaro per me che la musica che avevo udito nel palazzo dell’arcivescovo non era stata un caso. Ecco di nuovo la vera voce di Dio. Ciò che contemplavo attraverso la gabbia di quei meticolosi tratti di inchiostro era di un’assoluta bellezza…” – Antonio Salieri
Da quel momento, Salieri entra in aperto conflitto con la sua fede – e con Dio. “D’ora in poi noi saremo nemici, Tu e io”, afferma il musicista, nel corso della sua lunga confessione, “perché Tu hai scelto quale tuo strumento un vanaglorioso, libidinoso, sconcio, infantile ragazzo, e a me hai donato soltanto la capacità di riconoscere la tua incarnazione. Perché Tu sei ingiusto!” E così, il timorato di Dio spezza le catene che lo tenevano legato alla religione: giura, dunque, di uccidere Mozart per beffare l’Onnipotente. Ma, ancora per vie del tutto inattese e velate di ironia, quella che Salieri identifica con la Potenza Divina si beffa di lui: Amadeus muore sotto i suoi occhi, stroncato dal suo stile di vita debosciato e dall’alcolismo. Dio lo ha chiamato al suo cospetto, lasciando Salieri solo e impotente.
Il Santo Patrono dei Mediocri
Il vostro Dio misericordioso… ha distrutto il Suo beniamino piuttosto che lasciare che la mediocrità offuscasse una particella della sua esistenza. Lui ha ucciso Mozart e costretto me a vivere per torturarmi. Trentadue anni di torture, trentadue anni quaggiù, costretto ad assistere al mio disfacimento. La mia musica che diventava… ogni istante più sbiadita e nessuno l’ha più suonata. La sua invece… – Antonio Salieri
Nonostante la castità, nonostante la devozione, una vita fatta di sacrifici e rinunce, nonostante tutto questo Antonio Salieri ha perduto la sua guerra: la musica di Mozart perdura negli anni, incarna la voce di Dio; la musica di Salieri è sbiadita, il tempo l’ha divorata. Seppur ambientato in un’epoca tanto lontana dalla nostra, il film di Miloš Forman resta ancora attuale proprio in seno a questo contrasto: ancora oggi, infatti, siamo convinti che a tanti sacrifici debbano necessariamente corrispondere successi interminabili; “se vuoi, puoi”, recita un detto tristemente noto. Ma come identificare, allora, il genio che si manifesta indipendentemente da tali sacrifici? Come possiamo concepire, nella nostra società, che il talento si manifesti indipendentemente da ciò che usiamo chiamare “gavetta”?
Antonio Salieri, nel suo discorso conclusivo, si autoproclama il Santo Patrono dei Mediocri: “mediocri! Ovunque voi siate, io vi assolvo, vi assolvo tutti!” esclama guardando con tenerezza i malati ricoverati nel manicomio. È questo il suo pronunciamento finale, la sua verità che spiazza e terrorizza lo spettatore di ieri e di oggi: tutti vorremmo essere come il genio Amadeus, e temiamo profondamente la sorte del mediocre Salieri.
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