All the beauty and the bloodshed arriva nelle sale dopo aver conquistato il Leone D’Oro alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, diventando il secondo documentario a ricevere questo riconoscimento. Laura Poitras (Citizenfour, Risk) ritrae questa volta Nan Goldin, fotografa e attivista tra le più influenti in circolazione, dando voce a un racconto che intreccia la dimensione privata dell’artista e il suo ruolo da attivista politica e militante, nella sua più recente battaglia contro la famiglia Sackler, principale responsabile della crisi degli oppioidi negli Stati Uniti.
Nonostante al centro del documentario ci voglia essere lo spargimento di sangue causato dalla dipendenza da ossicodone, l’esistenza vorticosa di Nan Goldin, segnata da avvenimenti drammatici che poco si differenziano dalle tragedie epiche, si impone subito come l’aspetto più coinvolgente. L’arte diventa quindi lo strumento fondamentale attraverso il quale emanciparsi dal baratro e la fotografia di conseguenza l’unico strumento per interpretare e attraversare la paura.
In un continuo slideshow che alterna le fotografie provenienti da alcune delle sue raccolte più conosciute e rivoluzionarie – come The Ballad of Sexual Dependency, The Other Side e Soeurs, Saintes et Sibylles- lo spettatore entra in contatto con il potente legame che unisce la fotografia al ricordo, materia inafferrabile e mutevole in grado di risalire in superficie generando ogni volta reazioni inaspettate. Il risultato è un flusso continuo, interrotto dalle incursioni nel presente, che grazie all’intimità dei dialoghi assume a tratti le caratteristiche di una confessione.
In sei capitoli si attraversa quindi la genesi artistica e personale di Nan Goldin, le cui radici risiedono nella volontà di cogliere l’eredità profondamente ribelle della sorella maggiore, il cui suicidio rappresenta la prima vera grande tragedia della sua vita. A partire da questo momento ricordiamo con lei l’amicizia salvifica con il fotografo David Armstrong, il rapporto con le pionieristiche comunità drag degli anni settanta, l’incontro con John Waters e con l’it-girl underground Cookie Mueller, l’esplorazione della sessualità e delle droghe tra i muri della Bowery, lo stigma della prostituzione, la dipendenza affettiva e la violenza domestica ed infine la prima grande battaglia politica e artistica intrapresa allo scoppio dell’AIDS.
L’opera di Laura Poitras ha il grande pregio di raccontare un soggetto enormemente ricco, la cui vita si è a sua volta intrecciata con sottoculture altrettanto prolifiche dal punto di vista artistico, però risiede proprio in questo la debolezza del documentario. Si fatica infatti ad individuare una chiara direzione narrativa e, nel tentativo di far convivere due racconti, un filone finisce per avere la meglio sull’altro. All the beauty and the bloodshed rimane comunque un viaggio da compiere, certamente non per acquisire una visione esaustiva sulla più grande epidemia dilagata negli ultimi anni negli Stati Uniti ma per conoscere più da vicino l’incredibile retroscena della sua attivista più combattiva.
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