Negli ultimi anni le piattaforme hanno dedicato sempre più spazio all’interno dei propri cataloghi alla comicità, basti pensare agli speciali di stand up comedy che Netflix rende disponibili periodicamente. Questo non senza problematicità sia all’estero che in Italia, dove il fenomeno è da qualche anno in progressiva crescita e popolarizzazione. Se infatti per i comici internazionali si sta assistendo ad un boom di speciali paragonabile al boom comico di fine anni ‘80, quando spuntavano continuamente nuovi club con il rischio di saturare il mercato, c’è la preoccupazione che il luogo della stand up comedy si sposti progressivamente dai palchi al web. Per i comici italiani invece non si riesce a comprendere l’effettivo impatto di queste vetrine che sortiscono spesso un effetto limitato. 

Rimane però innegabile l’impatto dei comici sull’industria dell’intrattenimento ed accade spesso che siano anche i soggetti più interessanti da mettere al centro di una pellicola, protagonisti ingombranti quanto ricchi di spunti proprio grazie alla tendenza a mettersi a nudo di fronte al pubblico, tra nevrosi personali e l’abbattimento di temi tabù. La stand up comedy è la forma teatrale più personale ed implica per un natura un coinvolgimento emotivo tra comico e pubblico ma l’esperienza si limita alla performance sul palco, i film in questo senso riempiono un vuoto tra quello che succede prima e dopo, regalando allo spettatore una prospettiva inedita rispetto a quella sperimentata nella realtà. Questa prospettiva è spesso in contrasto con il lato più leggero dell’intrattenimento ed offre uno spazio per esplorare anche la dimensione psicologica più oscura di chi vive rispetto cercando di  far ridere le persone.

Accanto ai ritratti biografici si accompagnano film nei quali comici con alle spalle una carriera nell’industria decidono di rappresentare sullo schermo personaggi che abitano questo mondo, è il caso di Adam Sandler in Funny People, Chris Rock in Top Five e Jenny Slate in Obvious Child. Se la rappresentazione della vita di un comedian è stata spesso appannaggio della serialità -dal  grande show sul nulla di Jerry Seinfeld al recente successo di The Marvelous Mrs. Maisel- negli ultimi anni si è arricchita la lista di film che scelgono di rappresentare l’esperienza sul palco e fuori dal palco da una prospettiva sempre più personale. 

Per seguire l’evoluzione di questo piccolo ma stimolante sottogenere, di seguito elencati gli esempi più virtuosi: 

Lenny (Bob Fosse, 1974)

Il film successivo a Cabaret di Bob Fosse è una rarità nel suo genere, un film autobiografico su un comedian -in questo su colui che viene considerato come il creatore della stand up comedy, Lenny Bruce- che non viene interpretato dal comedian stesso. Qui Dustin Hoffman, in un’interpretazione che gli valse la terza candidatura al Premio Oscar come miglior attore protagonista,  ripercorre diversi momenti della vita del comico, dall’esordio ai momenti finali della sua carriera quando le diverse infrazioni alle leggi dell’oscenità lo portano a sviluppare un complesso da messia diretto all’autodistruzione. 

The King of Comedy (Martin Scorsese, 1982)

Robert De Niro è Rupert Pupkin, un comico squilibrato che sogna di ottenere, senza successo, uno spazio in un talk show e decide di sequestrare un famoso presentatore per ottenere finalmente il suo momento di gloria. 

Anche The King of Comedy è una voce peculiare all’interno di questa lista perchè questa dark comedy di Martin Scorsese, sempre più apprezzata negli anni, non racconta come sia la vita di un comedian ma è sicuramente uno dei più grandi esempi di rappresentazione della forza distruttiva della spasmodica ricerca di fama e popolarità in anni in cui ottenere uno slot in televisione poteva dare una svolta decisiva alla propria carriera. 

Ape (Joel Potrykus, 2012) 

Con questo film slacker low budget il regista Joel Potrykus attinge dalla sua esperienza personale di comedian in difficoltà a New York per raccontare un artista solitario e borderline al suo punto di rottura, opponendosi così alla romanticizzazione del lavoro dello stand up comedian in cui spesso ci si imbatte guardando commedie che trattano il tema.  Trevor Newandyke non riesce a sfondare nella stand up comedy e questa frustrazione lo accompagna anche sul palco, dove dovrebbe invece raccontare delle proprie insicurezze, alimentando una spirale autodistruttiva che lo intrappola nella sua stessa mediocrità. 

Obvious Child (Gillian Robespierre, 2014)

Nel suo debutto alla regia Gillian Robespierre si affianca alla stand up comedian Jenny Slate, per la quale aveva già diretto lo speciale Netflix Stage Fright, per presentare al Sundance una commedia romantica indie su una comedian che decide di abortire dopo un incontro occasionale di una notte. La commistione tra vita privata e monologhi sul palco qui non potrebbe essere più chiara con la protagonista che racconta quello che le sta accadendo al pubblico. 

The Big Sick (Michael Showalter, 2017)

The Big Sick è tra gli ultimi grandi successi di questo genere che ha visto l’esordio alla sceneggiatura per il comico Kumail Nanjiani, il quale ispirandosi alla sua esperienza autobiografica, ha ottenuto una candidatura come miglior sceneggiatura originale ai Premi Oscar del 2017. Questa pellicola segue la strada tracciata da Obvious Child sia nello sviluppo drammatico della commedia, quando la donna di cui si innamora va in coma a causa di una rara infezione, sia dal punto di vista della rappresentazione del comedian sul palco a cui viene dedicato sempre più spazio. La stand up comedy anche qui diventa un espediente vincente per permettere di conoscere al pubblico le emozioni del protagonista. 

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Silvia Alberti, Redattrice